Emanuela Covello, classe 4^A
A distanza di pochi giorni dal clamoroso furto al Louvre, il mondo dell’arte si interroga ancora una volta su come sia stato possibile. Non è la prima volta che il museo più visitato al mondo diventa bersaglio di un colpo spettacolare: basti ricordare il 1911, quando la Gioconda scomparve misteriosamente. A sottrarla fu Vincenzo Perugia, un ex dipendente del museo che riuscì a nascondersi all’interno del Louvre e a uscire con il quadro sotto il cappotto.
Il capolavoro di Leonardo venne ritrovato solo due anni dopo, a Firenze.
Oggi la storia si ripete, ma in modo ancora più eclatante. Quattro ladri con il volto coperto hanno portato via gioielli per un valore stimato di 88 milioni di euro, in appena pochi minuti. Il colpo è avvenuto nella Galleria d’Apollon, una sala lunga oltre 60 metri situata al primo piano del museo. Due uomini sono arrivati con un camion dotato di montacarichi, parcheggiato lungo il Quai François Mitterrand, vicino a un balcone che dà accesso diretto alla galleria. Gli altri due complici li seguivano su scooter. Saliti con il montacarichi, i ladri hanno forzato una portafinestra con smerigliatrici, rotto le teche dei “Gioielli di Napoleone” e dei “Gioielli dei Sovrani francesi”, minacciato la sicurezza, e poi sono fuggiti sugli scooter. Tutto in meno di otto minuti.
Un colpo perfetto o una falla nella sicurezza?
L’episodio del furto al Louvre rivela un dettaglio inquietante: gli allarmi erano disattivati proprio al momento dell’irruzione. Secondo le prime ricostruzioni, si sarebbe trattato di un malfunzionamento o di una finestra temporanea in cui i sistemi di sicurezza erano inattivi — forse per lavori di manutenzione o pulizia. I ladri, esperti e ben informati, hanno sfruttato questa vulnerabilità con precisione chirurgica.
Le forze dell’ordine sono intervenute rapidamente: il museo è stato evacuato, la zona sulla Senna sigillata e le indagini affidate alla procura di Parigi, che ha parlato di un’azione pianificata da un gruppo organizzato e probabilmente legato al crimine internazionale. Gli investigatori stanno analizzando i filmati di sorveglianza, gli strumenti abbandonati e le impronte lasciate sul luogo. Intanto è in corso un inventario per quantificare l’entità del danno, anche simbolico, subito da una delle istituzioni culturali più importanti del pianeta.
Perché rubare l’arte? Il valore dietro il gesto
Ma perché rubare opere d’arte o gioielli inestimabili, impossibili da rivendere legalmente? Il furto al Louvre, come molti altri nella storia, sembra rispondere a logiche economiche, simboliche e persino politiche. Spesso i capolavori vengono rubati su commissione per ricchi collezionisti privati, disposti a pagare cifre enormi pur di possedere segretamente un frammento di storia. In altri casi, le opere diventano merce di scambio nel traffico illecito o garanzia per transazioni criminali. Esiste anche la via del riscatto: restituire un’opera in cambio di denaro o di attenuanti legali.
Ma al di là del profitto, questi furti colpiscono perché toccano il cuore dell’identità di un popolo e di una Nazione. Rubare un’opera significa sottrarre un simbolo di cultura, bellezza e memoria. È un atto di potere, un messaggio contro l’istituzione e la sicurezza stessa del patrimonio umano. Il Louvre, con la sua fama e il suo valore universale, rappresenta il bersaglio perfetto: un colpo diritto al cuore della “civiltà europea”.
Il museo, pur dotato di sistemi di protezione avanzati, si è trovato vulnerabile davanti a un piano studiato nei minimi dettagli. E forse, al di là delle cifre e dei danni materiali, il vero furto è quello che lascia un vuoto nella fiducia di milioni di persone: quanto siamo davvero in grado di proteggere ciò che rappresenta la nostra storia?



