Nei giorni scorsi, alcune testate giornalistiche hanno dato voce ad una forte protesta che giunge da un luogo a dir poco emblematico. A denunciare la scarsa meritocrazia all’interno del mondo accademico, infatti, sono state tre studentesse della Scuola Sant’Anna di Pisa.
Nel discorso proferito durante la cerimonia di consegna dei diplomi, infatti, le tre ragazze hanno pronunciato un discorso nel quale hanno denunciato il sempre crescente interesse delle università verso il profitto… e non certo quello scolastico dei propri iscritti! Ecco il loro discorso pubblicato integralmente dal Open.
Università: vittima e carnefice
Dalle loro parole si evince come, a loro modo di vedere, la stessa Scuola Normale Superiore non abbia solo subito i cambiamenti sociali che hanno caratterizzato gli ultimi anni, ma si sia resa, in un certo senso, colpevole di giustificarli. L’atteggiamento tenuto dall’istituzione accademica, infatti, sembra, secondo le Rappresentati degli studenti della Facoltà di Lettere, accentuare il crescente interesse verso gli interessi economici rispetto a quelli didattico-formativi degli studenti.
Ricerca: la Cenerentola del mondo accademico italiano
Un altro aspetto sul quale le studentesse hanno posto l’accento sono stati i dati concreti, che mettono in luce un investimento in calo per quanto attiene il campo della ricerca che dovrebbe, invece, rappresentare l’attività principale svolta dagli atenei. In ultima istanza, però, questa situazione non va a discapito delle istituzioni formative, ma degli studenti e ricercatori che sono sempre frequentemente più vittime del precariato e di un malcelato sfruttamento.
Una situazione composita e squilibrata
La situazione non è, tuttavia, omogenea. Oltre agli ormai consueti divari di genere e territoriale, le studentesse sottolineano con forza anche la discrepanza tra centri di eccellenza, come la Scuola Normale, e “semplici” poli universitari. Questi due ambiti formativi, per loro natura interconnessi, si trovano, invece, separati da barriere invisibili che impediscono la collaborazione e il dialogo costruttivo tra i loro membri.
In altre parole, anche le eccellenze accademiche, una volta concluso il percorso presso le Scuole Superiori, si troverebbero isolate e senza possibilità di mettere a frutto le competenze acquisite in anni di studio. Quantomeno questo sembra impossibile all’interno del territorio nazionale e favorirebbe la cosiddetta “fuga dei cervelli” verso Paesi presso i quali i ricercatori non sono precari, ma considerati come un valore aggiunto da coltivare.
Meritocrazia: un’arma a doppio taglio
Sempre dal discorso delle Rappresentanti degli Studenti della Facoltà di Lettere emerge come l’eccellenza degli studenti si ritorca spesso contro questi ultimi. La loro accusa, in questo caso, si rivolge al corpo docente che, invece di accompagnare gli studenti nel loro processo di crescita, li obbliga a intraprendere una competizione brutale con i colleghi per far vedere le proprie potenzialità.
Anche nel nostro blog abbiamo più volte sottolineato come il mondo accademico possa, e forse, debba sfruttare i cambiamenti portati dalla pandemia per rendere le istituzioni universitarie dei luoghi di crescita reale per gli studenti e per il Paese nel suo complesso.
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